“Quelle donne chiuse a casa vittime di botte e soprusi di compagni senza amore”, articolo di Michela Murgia, La Stampa, 10 maggio 2020
“Casomai qualcuno avesse ancora dei dubbi, le immagini che arrivano dal centro antiviolenza Emma di Torino glieli diraderebbero: la casa per molte donne non è un luogo sicuro e la famiglia cosiddetta tradizionale è il peggiore degli inferni. Per questo a ciascuna di loro sarà suonato minaccioso e colpevolmente ingenuo quell’ossessivo “stiamo a casa!” ripetuto in coro negli ultimi due mesi da chiunque, fossero governanti, artisti, sportivi, giornalisti, intellettuali, hashtag sui social network e grida giudicanti dai balconi dei vicini appena ci si azzardava a varcare la soglia senza un cane. “Siamo tutti esposti, tutti sulla stessa barca”, ci siamo ripetuti prima che qualcuno ci facesse intelligentemente notare che siamo forse nella stessa tempesta, ma non certo nella stessa barca.”
Si apre con queste parole l’articolo di Michel Murgia pubblicato su La Stampa domenica 10 maggio 2020. Nel servizio si affronta il tema del lockdown e del lento ritorno alla normalità ma dal punto di vista delle donne segregate in casa con un uomo violento. Fa da cornice il faticoso lavoro dei centri antiviolenza svolto con finanziamenti inadeguati, strumenti normativi poco efficaci e senza il sostegno di una classe politica ancora troppo assente su temi fondamentali quali parità di genere o diritto all’autodeterminazione.
Nelle foto: le operatrici dei Centri Antiviolenza E.M.M.A. Onlus.